Nella prima parte dell’articolo, abbiamo visto qual è stata l’evoluzione del Carso Classico, dalla formazione delle rocce carbonatiche e del flysch, fino alla loro emersione dal mare causata dalle spinte tettoniche e al conseguente inizio dell’erosione superficiale e del carsismo, anche profondo. Ora dobbiamo affrontare un’epoca geologica abbastanza vicina a noi, il Pleistocene, nella quale avvengono eventi determinanti per l’evoluzione del Carso Classico che lo porteranno ad assumere un aspetto a noi familiare.
Oggi, il Pleistocene è un’epoca geologica di cui quasi tutti hanno sentito parlare grazie alle avventure di un gruppo di animali narrate in una serie di film d’animazione della Disney, L’era glaciale. Ora, però, dobbiamo abbandonare le conoscenze relative all’immaginario popolare per addentrarci un po’ di più nell’epoca pleistocenica a livello scientifico.
Per iniziare, possiamo dire che i grandi cambiamenti climatici e ambientali che caratterizzeranno questa epoca hanno indotto gli scienziati a far coincidere l’inizio del Pleistocene con l’inizio del periodo Quaternario (nel quale stiamo vivendo), ma c’è di più: all’inizio del Pleistocene si afferma il genere Homo – per l’esattezza il nostro progenitore Homo Abilis – e il fatto che nel mondo compaia l’Uomo potrebbe aver avuto alcuni effetti sulla fase finale della storia geologica e morfologica del Carso Classico; infatti, come vedremo nel prossimo articolo, i nostri progenitori potrebbero aver avuto un ruolo nell’ultima tappa del percorso di evoluzione del Carso Classico per come lo conosciamo oggi.
Inoltre, possiamo affermare che l’accadimento più eclatante che caratterizza il Pleistocene in maniera potente sono le glaciazioni. In realtà, ci sono segni di glaciazioni anche in altri periodi della storia geologica della Terra, ma quelle pleistoceniche, essendo temporalmente più vicine a noi, sono quelle meglio conosciute; vediamone le caratteristiche.
Gli studiosi hanno identificato undici eventi glaciali maggiori e molti altri di carattere minore (stadiali) lungo l’arco temporale che va da 2,58 milioni di anni fa (inizio del Pleistocene) fino a 11700 anni fa (fine del Pleistocene e inizio dell’Olocene); a essi si alternano periodi in cui le temperature risalivano e che vengono chiamati Interglaciali e Interstadiali; inoltre, va considerato che il trend della temperatura è generalmente in diminuzione dal Pliocene fino all’Antropocene, epoca geologica nella quale l’essere umano, con le sue attività, è riuscito a incidere su processi geologici e sull’ecosistema.
Durante queste periodiche variazioni climatiche, l’ambiente del nostro altopiano carsico passa più volte da una situazione di steppa fredda (erba, piante basse e rade, suolo più o meno ghiacciato) a una situazione più temperata dove la steppa regredisce a favore di rigogliosi ambienti boschivi.
Queste alternanze inducono anche cambiamenti nella fauna ed ecco quindi spiegato perché a volte sono state ritrovati accumuli mescolati di ossa di animali che vivevano in ambienti molto diversi, come per esempio l’Ippopotamo ritrovato accanto al Bisonte. A titolo di esempio, possiamo dire che le brecce ossifere carsiche che hanno raccolto ossa portate dall’acqua all’interno delle cavità o grotte, annoverano le seguenti specie animali:
Periodi glaciali o stadiali (freddi):
Bisonte, Alce, Lupo, Orso delle caverne, Megaceros (grande cervo), Castoro.
Periodi interglaciali o interstadiali (caldi):
Leone, Iena, Ippopotamo, Elefante, Rinoceronte.
E al nostro ambiente carsico, cosa è successo durante le glaciazioni?
Per iniziare, va fatta un’importante considerazione che ci aiuterà a comprendere i mutamenti che si sono succeduti nella storia geologica dell’altopiano: la superficie topografica del Carso Classico è soggetta a un continuo abbassamento per denudazione. Vediamo di cosa si tratta.
La superficie topografica dell’altopiano carsico si abbassa di circa 20m ogni milione di anni (valore medio). Facciamo un esempio per comprendere meglio: quando entriamo in una grotta, attraversiamo un ingresso che un milione di anni prima era parte di una galleria o di un pozzo a 20m di profondità, mentre l’ingresso di allora attualmente è scomparso proprio a causa della denudazione carsica.
Alla denudazione concorrono diversi fattori:
- Degradazione fisica (p.e. cicli gelo-disgelo, variazioni di umidità) che frammentano e demoliscono la roccia in situ cioè senza trasporto
- Degradazione chimica: operata sul Carso Classico per l’azione aggressiva dell’acqua arricchita di anidride carbonica, che scioglie (corrode) la roccia calcarea.
- Degradazione biologica: la roccia viene aggredita da sostanze aggressive rilasciate da organismi quali licheni e funghi.
- Erosione (trasporto di materiali a opera dell’acqua, vento o ghiaccio.)
In pratica: Denudazione = Erosione + Degradazione(fisica, chimica e biologica)
I valori attuali di degradazione chimica misurati dall’Università di Trieste (S. Stefanini, F. Ulcigrai, F. Forti & F. Cucchi -1985 e F. Cucchi, F. Forti & E. Marinetti – 1995) sono compresi tra 10m e 40m per milione di anni, a seconda della tipologia di formazione calcarea presa in considerazione e, naturalmente, delle condizioni ambientali.
Torniamo agli eventi ipogei del Pleistocene: all’inizio, l’acqua nelle grotte scorre prevalentemente in regime vadoso (scorrimento a pelo libero), forse epifreatico (alternanze temporali tra regime vadoso e freatico) nei momenti interglaciali più caldi e piovosi (tranne che nella falda acquifera, dove scorre sempre in regime freatico e cioè in pressione) e deposita nelle cavità una notevole quantità di materiale detritico. Inoltre, le grandi gallerie freatiche si destabilizzano a causa della mancanza della pressione dell’acqua che sosteneva le volte di roccia delle condotte, nonché come effetto della corrosione carsica e dei terremoti, cosicché avvengono i grandi crolli delle volte.
Insomma, pian piano le grotte cominciano a invecchiare grazie alla progressiva riduzione dello scorrimento torrentizio dell’acqua fino ad arrivare alla sua completa sparizione negli abissi, così, da quel momento in poi, esse entrano in una fase di riempimento (crolli, argilla e concrezioni calcitiche) che occlude la maggior parte delle gallerie e dei pozzi, lasciando a noi la possibilità di visitare soltanto brevi parti di ciò che in origine doveva essere un vasto sistema idrologico sotterraneo. Le sequenze temporali in cui avvengono questi eventi sono molto difficili da determinare e richiedono un lavoro multidisciplinare molto oneroso per cui, attualmente, non possiamo essere più precisi a meno di non considerare soltanto alcune situazioni puntuali che sono state approfondite da scienziati italiani e sloveni.
In più, l’effetto della denudazione carsica porta progressivamente alla luce numerose cavità con conseguenti crolli delle volte che si aprono all’esterno (grotte scoperchiate, doline di crollo), cosicché diventano accessibili numerose grandi grotte che si erano formate in profondità tra il Miocene e il Pliocene in ambiente freatico e cioè con scorrimento sotterraneo d’acqua in pressione. Tipici esempi di queste cavità di grandi dimensioni sono la grotta dell’Orso, la Grotta Azzurra, la Grotta Ercole e la Grotta Noè.

Naturalmente, anche il carso esterno (epigeo) è soggetto alle oscillazioni climatiche e quindi passa più volte dalla steppa dei periodi glaciali alla foresta temperata nei periodi interglaciali più caldi; affidandoci a recenti studi di autori sloveni, è possibile che in quel periodo di tempo il suolo sia ben formato e che la roccia calcarea affiorante fosse rara, relegata ai fianchi delle doline più estese, alle scarpate o alle cime di colline spazzate dal vento e dalla pioggia.
I fenomeni carsici di corrosione del calcare sarebbero avvenuti, quindi, all’interno del suolo e avrebbero dato origine a forme arrotondate, come si può evincere dalla foto sottostante; allora viene spontaneo chiedersi come mai il Carso Classico, oggi, a poco più di 13.000 anni di distanza dalla fine del Pleistocene, tempo che da un punto di vista geologico equivale a un respiro, è ricco di affioramenti rocciosi estesi e tormentati, ricchi di forme aspre e taglienti?
Per avere una delle possibili risposte a questa domanda non mancate di leggere il prossimo articolo, che concluderà questo viaggio nell’origine ed evoluzione del Carso Classico.