Dalla preistoria all’epoca romana
Non sappiamo esattamente come sia andata sul Carso durante il periodo Neolitico oppure durante l’Età del Bronzo in quanto sono giunti fino a noi soltanto alcuni manufatti in pietra, in argilla o in bronzo, mentre le uniche strutture permanenti sopravvissute sono i castellieri, che però non ci hanno trasmesso alcuna informazione in forma scritta.
Le prime informazioni certe le abbiamo avute dai romani e raccontano degli Illiri, una popolazione che abitava gran parte dei Balcani e che parlava un idioma indo-europeo, ma a dire il vero – oltre ai manufatti – degli antichi abitanti carsici qualcosa si è conservato ed è arrivato fino a noi, una parola magica, che oggi è diffusa e usata in tutto il mondo, in quasi qualsiasi lingua e che è all’origine del termine Carso.

La parola magica è karra o kar, termine pre-indoeuropeo che significa roccia o pietra, da cui appunto provengono l’italiano Carso e il tedesco Karst, in cui la radice originale è conservata; in sloveno, invece, la radice diventa Kras. Da questa antichissima parola sono derivati altri toponimi di alcune aree geografiche attorno al Carso quali Carnia, Carinzia, Carniola, Kranjska, Karavanke e numerosissime parole derivate e declinate in tante lingue del mondo intero.
Ripercorriamo quindi la storia della radice kar.
È evidente che essa descrive bene la caratteristica principale di una regione carsica, ovvero un luogo dove le rocce sono spesso affioranti e dove i contadini hanno sempre combattuto contro le pietre che si mettevano continuamente d’intralcio agli aratri o alle falci. Ciononostante, va fatto un inciso: l’aspetto esterno del Carso Classico non è sempre stato così aspro e tormentato, con doline dai fianchi dirupanti, crepacci, campi solcati ed estese pietraie, ma c’è stato un tempo in cui era un altopiano boscoso o stepposo, ricco d’acqua e brulicante di vita, un tempo di cui l’uomo non ha lasciato alcuna memoria; di questo fatto, molto importante, parleremo in dettaglio in un articolo successivo, che verrà dedicato all’evoluzione recente del Carso.
Tornando alla nostra parola kar, prima dell’espansione romana l’altopiano era stato colonizzato da tribù illiriche che furono successivamente soggiogate – dopo due missioni militari, nel 178 a.C. e nel 177 a.C, – quando i Romani conquistarono il regno degli Istriani (per maggiori informazioni si può leggere il volume di Mikl Curk, Sulle orme dei soldati romani in Slovenia. Ministrstvo za kulturo RS, Lubiana. 1993); riguardo al nome originale illirico (quindi pre-latino) dell’altopiano carsico non sappiamo nulla, si conosce solo la sua forma romanizzata e cioè Carsus.
La parola Carso nell’età moderna
In epoche più recenti (tardo medioevo), sulle mappe locali il nome Carso/Kras/Karst è piuttosto diffuso, ma un poco per volta si afferma anche a livello europeo, tanto da figurare anche sulle mappe di regioni più estese.

Citiamo alcuni esempi: sulla mappa dell’Illirico di Münster (1552) c’è Kharst, su Ducatus Carnioliae di Zalterius (1569) c’è Charso, mentre sulla mappa di Lazius e Orthelius denominata Goritiae, Karstii, Chaczeolae, Carniolae, Histriae et Windorum Marchae (1573) il Carso figura già nel titolo, così come su Forum Iulium, Karstia, Carniola di Mercatore (1589).
Nel suo libro Die Ehre dess Herzogthums Crain (I. Th., W. M. Endter, Laybach. 1689), Janez Vajkard Valvasor menzionava il nome sloveno Kras (Na Krasi), che invece fu stampato per la prima volta su una carta geografica da Balthasar Hacquet in Terra fisica, descrizione del Ducato di Carniola, Istria e parte dei paesi vicini del 1778, dato che egli seguiva rigorosamente il principio che i nomi sulle mappe devono essere scritti in lingua domestica e cioè quella dell’area geografica rappresentata.
Età contemporanea: il Carso diventa Classico
Nel 1719, Trieste diventa Porto Franco e quindi assume un’importanza sempre più rilevante per l’Impero Asburgico. In quel periodo, molti viaggiatori, scrittori e studiosi nominano il Carso nei loro scritti (diari, lettere, resoconti di viaggio, studi e ricerche di vario tipo) in quanto devono attraversarlo per raggiungere la città e non possono fare a meno di notarne la particolarità dell’ambiente: le descrizioni di questa regione, infatti, parlano di una certa difficoltà incontrata per attraversarla a causa delle distese di pietre aguzze punteggiate da ingressi di grotte più o meno grandi, dall’assenza dell’acqua, di una quasi totale inesistenza del suolo e quindi di vegetazione, e della “burja” (bora), un vento ostinato e terribile che la sferza come la frusta di un aguzzino.
Da un diario del diciottenne Massimiliano d’Asburgo intitolato Il mio primo viaggio, si legge:
“Trieste, 2 settembre 1850, la più bella vista di Trieste si gode senza dubbio ai piedi dell’obelisco di Opicina. Si viaggia per ore attraverso la desolata pietraia del Carso, sulla quale sembra gravare una specie di maledizione; le rocce appaiono come figure grigie, si vedono rovine di case e di interi villaggi, cespugli secchi sembrano tendere le braccia e non c’è punto dove la vita rallegri la vista. Un grigiore incerto e misterioso grava sul Carso finché, dopo un lungo viaggio, lo sguardo stanco si rianima alla vista dell’obelisco, quasi un simbolo della speranza. Ci si trova ancora nella valle delle lacrime, ma là in fondo tutto è splendido, vivo e fa pensare al Sud. Si incita il postiglione, si vola nell’ultima erta fino all’obelisco, ed ecco: ai piedi del viaggiatore incantato appare l’immagine dell’infinito, che il contrasto fra il mare di pietra e la natura viva rende ancora più affascinante.”
Massimiliano viaggia in carrozza, perché la ferrovia meridionale che collegherà Trieste a Vienna non è ancora stata costruita, ma lo sarà a breve perché a cavallo tra il ‘700 e l’800 la popolazione della città è cresciuta velocemente e quindi incomincia a farsi sentire la necessità di collegamenti veloci con la Capitale.
Ma si palesa anche un’altra necessità impellente, forse anche più importante della ferrovia: la necessità di un approvvigionamento idrico sempre maggiore.
Nella prima metà dell’800, tale problematica inizia a essere di vitale importanza per la città e l’amministrazione pubblica austro-ungarica, coadiuvata dai cittadini più abbienti, inizia a sondare i territori circostanti alla ricerca di fonti d’acqua. Inizia così un periodo di studi geologici che danno vita alla disciplina che si chiama carsismo.
All’epoca, l’altopiano carsico, con le sue numerose grotte e doline, faceva parte dell’impero asburgico e così l’Austria-Ungheria divenne il primo centro degli studi geomorfologici carsici. Inoltre, con la costruzione della linea ferroviaria meridionale austriaca che collegava Vienna a Trieste (1857) i geologi austriaci poterono spostarsi più facilmente per andare a visitare l’altopiano carsico e le zone più interne dell’attuale Slovenia (per esempio le Grotte di Postumia) dando origine a un grande fermento scientifico attorno al fenomeno del carsismo. Di lì a poco, il termine carso comincia ad assumere una valenza internazionale e col tempo viene preso a riferimento da tutta la comunità scientifica mondiale. Le prime descrizioni delle doline provengono proprio dai cantieri lungo il tracciato per la costruzione della ferrovia meridionale.

Il professor Albrecht Penck della Scuola di Geografia Fisica di Vienna pubblicò nel 1894 un fondamentale libro di testo sulla geomorfologia, ma fu il suo allievo, Jovan Cvijić, che introdusse il termine “carsico” nella letteratura geologica quando pubblicò Das Karstphaenomen nel 1893.
Cvijić, che era serbo, descrisse le caratteristiche carsiche in tutte le montagne dinariche dei Balcani, aggiungendo molti esempi tratti dagli studi dell’area di Postumia e dell’altopiano di Trieste.
In seguito, molti dei geomorfologi più influenti della fine del 1800 e dell’inizio del 1900 visitarono il Carso e il termine si affermò saldamente, almeno nei circoli geologici occidentali.
Inoltre, va considerato un fenomeno degno di nota del carsismo, le grotte, che rappresentano l’importante aspetto sotterraneo di un paesaggio carsico (e che hanno un forte richiamo all’avventura romantica, tema molto caro agli esploratori e agli studiosi ottocenteschi e dei primi del Novecento), tanto che alcuni ricercatori si sono concentrati principalmente sulle caratteristiche ipogee piuttosto che sul paesaggio superficiale.
Comprensibilmente, i primi speleologi hanno ideato le teorie più diverse (a volte bizzarre) sul processo che avrebbe creato le cavità sotterranee, ma fu l’esploratore di grotte francese E.A. Martel che usò per primo un approccio decisamente “speleologico” ai suoi studi sulle aree carsiche; egli, però, preferì il termine Phenomenes du calcaire (Martel, 1894) al già diffuso carsismo, probabilmente perché voleva mettere meno enfasi sulle caratteristiche della superficie rispetto a quelle profonde (oppure per cercare di togliere al Carso il primato linguistico che si era guadagnato).
Altri esempi di termini alternativi per il carsismo includono “geomorfologia calcarea”, “paesaggi calcarei” e “falde acquifere carbonatiche”; tuttavia, il sostantivo e aggettivo “carsico” e le sue molte forme derivate (p.e. carsologo, carsificato, carsogenesi, etc.) ormai si era saldamente stabilito nella letteratura internazionale.
Si capisce, quindi, perché per distinguere l’area composta dall’unione del Carso Triestino con quello Isontino e quello di gran parte della Primorska (Slovenia sud-occidentale) – area che al di là dei confini degli stati ha un’omogeneità nella sua lunga storia geologica, nella struttura, nella geomorfologica e nella storia degli studi scientifici – è stato coniato il termine Carso Classico (Classical Karst in inglese o Klasicni Kras in sloveno), attualmente utilizzato in tutto il mondo.

Bibliografia
- Kranjc, Andrej. (2011). The Origin and evolution of the term “Karst”. Procedia – Social and Behavioral Sciences 19. P. 567-570.
- Snoj M. Etimološki slovar slovenskih zemljepisnih imen. Modrijan & Založba ZRC, Ljubljana, 2009.
- Cucchi Franco, Zini, Luca, Calligaris, Chiara. (2015). Le acque del Carso Classico, Progetto HYDROKARST.
- Mykhailo KRIL, Balthasar Hacquet As A Historian, Hacquetia 2/2, 2003, p. 49-53.
- Massimiliano d’Asburgo, Il mio primo viaggio, Edizioni Studio Tesi, (1999).
- Cacciafoco, Francesco Perono. “La Radice *Kar- / *Kal- e Due Toponimi Liguri.” «Iter. Ricerche fonti e immagini per un territorio» (2008)